Rita Atria, perché si è suicidata a 17 anni: il legame con Borsellino

Quella di Rita Atria è la storia di una dolorosa presa di coscienza e di rigetto delle logiche della mafia. Ripercorriamola da vicino. 

Rita Atria è stata una giovane testimone di giustizia italiana la cui vita è purtroppo terminata prematuramente: si è uccisa a 17 anni una settimana dopo la strage di via D’Amelio. Per fiducia che riponeva nel giudice Paolo Borsellino, aveva deciso di collaborare con gli inquirenti, e dopo quel tragico attentato si sentì il mondo crollare addosso.

rita atria

Il dramma di Rita Atria

Rita Atria nasce a Partanna (Trapani) il 4 settembre 1974, figlia di Vito Atria (1939-1985) e di Giovanna Canova (1939-2012). A undici anni perde il padre, pastore affiliato a Cosa nostra, ucciso in un agguato, dopo di che si lega ancora di più al fratello Nicola e alla cognata 18enne Piera Aiello, che si era sposata nove giorni prima dell’omicidio del suocero. Da Nicola, lui pure mafioso, raccoglie intime confidenze sugli affari e sulle dinamiche mafiose a Partanna. Nel giugno 1991 però anche lui viene ucciso e sua moglie Piera Aiello, presente all’omicidio, denuncia i due assassini e decide di collaborare con la polizia e la magistratura.

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Nel novembre 1991, a soli 17 anni, Rita decide di seguire l’esempio della cognata, cercando giustizia per quegli omicidi. Il primo ad ascoltare le sue rivelazioni è Paolo Borsellino, all’epoca procuratore di Marsala, che per lei diventa come un padre. Le deposizioni di Rita e di Piera, assieme ad altre testimonianze, portano all’arresto di numerosi mafiosi di Partanna, Sciacca e Marsala e mettono in moto un’indagine sull’onorevole democristiano Vincenzino Culicchia, per trent’anni sindaco di Partanna.

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Rita muore a Roma, dove viveva in gran segreto, il 26 luglio 1992, dopo essersi lanciata dal settimo piano di un palazzo di viale Amelia 23. Oggi è considerata un’eroina per la sua capacità di rinunciare a tutto, persino all’affetto della madre (che la ripudiò e che dopo la sua morte distrusse la lapide a martellate) per inseguire un ideale di giustizia. “Prima di combattere la mafia – disse – devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c’è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci. Borsellino sei morto per ciò in cui credevi, ma io senza di te sono morta”.

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