Emergenza ambientale in Siberia: un’enorme macchia rossa minaccia l’Artico

A causa di un grave incidente in un grosso impianto metallurgico, 20mila tonnellate di combustibili hanno tinto di rosso il fiume Ambarnaya, vicino alla città di Noril’sk, nel Circolo Polare Artico; dopo gli inutili tentativi di insabbiamento da parte dei responsabili, Vladimir Putin ha dichiarato lo stato d’emergenza

Perché il Governo deve venire a saperlo giorni dopo? Dobbiamo aspettare di scoprirlo dai social?” – sono queste le parole con le quali il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin ha criticato aspramente – durante una teleconferenza – le scelte recentemente compiute dal capo della Ntek Serghei Lipin, colpevole di non aver reso noto tempestivamente, o comunque in modo adeguato, l’accadimento di un grave incidente nel Circolo Polare Artico.

Lo scorso 29 maggio, infatti, all’interno di un impianto metallurgico gestito da Nornickel (leader mondiale nella produzione di nickel e palladio), una cisterna di carburante è collassata, riversando una massiccia quantità di diesel e lubrificanti (circa 20mila tonnellate) sul fiume Amabarnaya, inquinando un’area di circa 350 km quadrati e tingendo di rosso il corso d’acqua.

L’azienda, posta vicino alla città di Noril’sk, ha provato inutilmente a insabbiare il terribile disastro, ma una simile tragedia ambientale non può certo passare inosservata per sempre. Dopo neanche una settimana, per l’appunto, ci ha pensato il governatore della regione interessata – Alexander Uss – a riferire il tutto a Putin, il quale non solo ha dichiarato lo stato d’emergenza, ma ha anche ordinato l’apertura di una grande inchiesta in merito alla vicenda, disponendo altresì il provvisorio arresto di un responsabile della centrale elettrica rifornita, Viatcheslav Starostine.

Nel frattempo, sul posto sono già iniziate le complesse operazioni di pulizia, ma gli ambientalisti sono estremamente preoccupati dall’ampiezza della macchia rossa contaminante, nonché dalla particolare geografia dalla zona, isolata e paludosa. Secondo l’esperto del WWF Aleksei Knizhnikov – come riportato dall’AGI – si tratta del secondo più grave incidente del genere nella storia della Russia moderna, in termini di volume di sostanze tossiche fuoriuscite. Il primato di questa triste classifica è detenuto dalla fuga di greggio verificatasi nel 1994 nella regione di Komi, durata, tra l’altro, diversi mesi. Greenpeace ha paragonato la gravità dell’accaduto al disastro dell’Exxon Valdez, in Alaska, nel 1989.

Non c’è mai stata una tale perdita nell’Artico prima – ha affermato il portavoce del servizio emergenze marittime russo Andrey Malov, continuando – Dobbiamo lavorare molto rapidamente perché il carburante si sta dissolvendo in acqua“. Il rischio è che le sostanze inquinanti giungano sino al lago Pjasino – dove confluisce il fiume Ambarnaya – e da lì attraversino la penisola di Taimyr, regione strategica da cui la Russia estrae metalli preziosi, carbone e idrocarburi. Gli operatori hanno tentato di arginare il corso d’acqua con sei barriere di contenimento, cercando, al contempo, di pompare i combustibili in superficie.

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