Mino Reitano, la figlia rivela i segreti del cantante: “Ecco perché va santificato”

“Lui era un angelo, perciò chi chiede di farlo santo ha ragione”: parola di Giusy Reitano, figlia dell’indimenticabile Mino.  

Generoso, altruista, buono con tutti, amici e nemici. Sono le virtù che l’Associazione degli amici della Calabria attribuisce a Mino Reitano, il grande cantautore scomparso nel 2009 a 65 anni: di qui il suo appello rivolto al Vaticano affinché sia aperto il processo di beatificazione del cantante. Grazia Reitano, 42enne secondogenita dell’artista, ha raccontato in esclusiva al magazine Nuovo perché suo padre merita tale riconoscimento.

Le virtù di Mino Reitano uomo e artista

Mino Reitano, classe 1944, è stato l’artista simbolo della canzone melodica italiana e il prototipo dell’uomo del Sud tutto religione e famiglia riuscito a farsi da sé. Eppure oggi, a 12 anni dalla sua morte, è stato quasi dimenticato. “Vedendo tanti artisti della generazione di papà sulla cresta dell’onda penso a quanto lui avrebbe potuto ancora dare”, dice Grazie Reitano a Nuovo. “Sarebbe stato pronto a rimettersi in gioco perché la musica era la sua vita. E credo che avrebbe potuto dare anche un contributo umano col suo esempio di vita”.

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“Mio padre – continua Grazie Reitano – nella sua grande bontà andava oltre l’insegnamento evangelico ‘Ama il prossimo tuo come te stesso’, prodigandosi senza limiti per gli altri. Secondo me è un angelo del Paradiso, che da lassù veglia sulla nostra famiglia”. La pensa allo stesso modo, come accennato, l’Associazione degli amici della Calabria, che qualche mese dopo la scomparsa dell’artista scrisse al Vaticano proponendo la beatificazione dell’artista, richiesta tutt’ora in esame.

“Io sono di parte – osserva a tale riguardo Grazia Reitano – ma con lucidità ammetto di non avere mai conosciuto un fervente cattolico come mio padre. Era devoto alla Madonna, che considerava la sua Madre Celeste; faceva numerose opere di bene, in segreto perché non voleva nemmeno essere ringraziato; in più sopportava senza rancore le offese, compresa quella, dovuta a un inopportuno snobismo culturale, di avere uno stile troppo popolare”. L’ultima parola ora spetta alla Chiesa.

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