Alberto Angela, il dramma durante le riprese: “Vissuto ore tremende”

In un’intervista Alberto Angela è tornato sul rapimento e la rapina che lui e la sua troupe hanno subito in Niger nel 2002.

Non molti si ricorderanno che Alberto Angela nel 2002 ha rischiato la vita insieme alla sua troupe mentre si trovava al confine tra l’Algeria ed il Niger. Dei criminali li hanno fermati, minacciati con la pistola e catturati, per poi torturarli e derubarli di qualsiasi cosa avessero indosso. Per fortuna, dopo ore di terrore, i malviventi li hanno rilasciati e Alberto e la sua troupe hanno potuto fare ritorno a casa sani e salvi.

Dell’episodio il conduttore ha parlato nel 2020 in un’intervista concessa al settimanale DiPiù: “Nel 2002 ho rischiato di essere ucciso. Sono stato sequestrato e picchiato da criminali nel Niger. Ho temuto davvero di non rivedere più mia moglie”. Dalle sue parole si capisce come quell’evento abbia segnato per sempre la sua vita e come a distanza di 19 anni tornarci anche solo con il pensiero faccia il suo effetto.

 

Alberto Angela, il grande spavento durante le riprese

A raccontare cosa successe 19 anni fa è stato lo stesso Alberto Angela al ritorno dall’Africa. Sbarcato all’aeroporto di Fiumicino, il divulgatore scientifico aveva esordito dicendo: “Ti porta a fare un bilancio e a riflettere sul valore della vita, e ad amarla poi di più”. Quindi è entrato maggiormente nei dettagli spiegando di aver vissuto: “Quindici ore da Arancia meccanica, da condannati a morte. Siamo stati picchiati, minacciati, derubati di tutto: attrezzature, soldi, fedi nuziali, orologi, cellulari, bagagli. Sempre sul filo di una tortura psicologica”.

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Il conduttore televisivo era consapevole di trovarsi in una zona pericolosa dell’Africa, ma proprio per questo aveva chiesto consigli su come muoversi per evitare che delle bande di criminali potessero fare loro del male o derubarli. L’aggressione, dunque, è stata del tutto inaspettata: “Non abbiamo sconfinato, eravamo su un percorso ben noto, che ci era stato assicurato tranquillo, frequentato fino al giorno prima da turisti, tra Algeria e Niger; appena in territorio nigerino, dopo una cinquantina di chilometri in pieno deserto, si è materializzato un veicolo velocissimo da cui sono scesi tre individui, con turbante e occhiali da sole, kalashnikov e pistole alla mano, intimandoci di arrestarci”.

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Alla sorpresa iniziale si è aggiunta presto il terrore di non riuscire a tornare vivi a casa, oltre al dolore fisico e psicologico inflitto dai carcerieri: “Dopo l’assalto sono seguite quindici ore di terrore: sotto tiro, calci nel costato, pugni alla tempia, schiaffi a mano aperta per sfondarti i timpani, interrogatori con urla e violenze psicologiche, uno alla volta, senza capire cosa volessero”.

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